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25/07/12

94. Performance e workshop a Cantù per 'Corpi Scomodi'

Dopo la delusione di Genova ho passato momenti duri, sia per il morale, sia per il fisico, ma soprattutto perché papà ha avuto una grandissima operazione e dopo un mese e mezzo è ancora in clinica, e sia per me che per mia madre è stato un periodo di molta ansia e molto stress, anche se siamo state brave a farci forza e a sostenere la tensione e trasmettere la positività. Ma entrambe (e lei è magnifica ma ha la sua età) un po' a turno, crollavamo, per poi rimetterci in sesto.
Una grande gioia di questo periodo un po' duro e sofferente (anche se però è stata molto dolce la relazione con papà e la ripresa affettuosa del nostro rapporto che in passato aveva avuto punte di nervosismo e di incomprensioni) è stata la due giorni di Cantù nell'ambito del Festival 'Corpi Scomodi', un festival di performance urbane organizzato da Mondovisione e curato da Filippo Borella.

I ragazzi sono stati molto bravi. Hanno invitato e spesato molti artisti, trasformando la piccola ma ricca città di Cantù in un teatro di azione di vari progetti interattivi e performativi in dialogo con la città.
Ho visto molti progetti interessanti, conosciuto persone molto simpatiche, dormito benissimo un paio di notti in un fiorito ('la finestra sul giardino' si chiama ...) bed and breakfast che mi avevano prenotato, mi sono divertita sia nel fare la performance che il workshop (eravamo in pochi ma mi ha dato una soddisfazione molto grande vedere come i partecipanti hanno goduto intensamente la cosa), ho avuto successo e complimenti ... Insomma, una bella piccola ricarica in un periodo un po' faticoso, e questo ci voleva! (Naturalmente, io che appena posso ho bisogno di natura come il pane, ho trovato anche il tempo per andare a fare il bagno in un piccolo laghetto vicino graziosissimo - il lago di Montorfano, che vi consiglio davvero).



"L’intervento che ho pensato per ‘corpi scomodi’ è concepito come un workshop e una performance di gruppo che coinvolge le persone del territorio. Mi interessa estendere alle persone la possibilità di diventare protagonisti di un’opera e di una performance. Mi piace pensare che la performance sia ‘amplificata’ divenendo un’opera in cui agiscono simultaneamente con me molte altre persone.
Il concetto che ho scelto di sviluppare in maniera ‘collettiva’ a Cantù riguarda il mio progetto in divenire ‘The Slowly Project’, dove si analizza, in maniera poetica e provocatoria, la dimensione frenetica e veloce della vita quotidiana, divenendo, attraverso il corpo e l’interazione con la città, icona e simbolo di altro.
Mi diverte l’idea di creare un folto gruppo di persone che attraverseranno con me la città di Cantù muovendosi a rallenti, mi immagino questa nube di persone che, come apparizioni, attraversano la città in maniera rarefatta e quasi surreale. E mi interessa, come al solito, l’interazione con il territorio e la città.
Perché corpi ‘scomodi’? Intanto perché fare questa performance è molto ‘scomodo’ e faticoso: camminare perfettamente a rallenti implica un lavoro di controllo e contrazione dei muscoli piuttosto difficile, che richiede molta concentrazione e strategie fisiche che insegnerò nel workshop. Il corpo dell’artista diventa scomodo per diventare un segno visibile per gli altri.
Inoltre il concetto di scomodo si può applicare al concetto di lentezza: a volte è scomodo prendersi il proprio tempo, il tempo del silenzio e del proprio centro, sembra un qualcosa difficile da permettersi, ma a volte proprio solo da questa provocazione scomoda e rarefatta sembra possibile trovare pienezza."

Liuba,  giugno 2012




   The Slowly Project - performance collettiva e workshop, Cantù, giugno 2012


E' un po' di tempo che mi interessa un'arte che più che opera è processo e progetto, e che diventa parte integrante e attiva della vita delle persone.

Ho cominciato a lavorare uscendo dalle gallerie ed entrando 'nel territorio' 13 anni fa, cominciando nel 1999 quelle che ho chiamato 'urban interactive performances', e in quest'ultimo periodo mi interessa sempre di più sviluppare la parte interattiva e relazionale, e coinvolgere attivamente le persone nella performance.

Mi interessa tantissimo non solo comunicare emozioni ed idee e concetti ed estetica a un pubblico, ma anche fare in modo che il pubblico esperimenti dentro di sè il coinvolgimento emotivo, fisico, energetico e mentale che occorre per fare le performances, vivendosi dal di dentro l'azione.
Per fare questo ho deciso di proporre un workshop propedeutico alla performance, aperto a chiunque voglia partecipare alla performance. "Nel workshop i partecipanti faranno un lavoro su di sè, sul proprio corpo, sulla propria capacità di resistenza e di concentrazione. Si avrà la possibilità di vedere dall’interno come funziona la preparazione energetica e fisica per una performance, e di avere la possibilità di prendervi parte il giorno dopo”.

L'esperienza è stata molto bella e interessante, soprattutto mi ha colpito la contentezza delle persone che hanno partecipato alla performance, poichè agire a rallenti nel mezzo della vita quotidiana implica un lavoro su di sè di meditazione, di energia, di controllo del corpo, dei muscoli e dei movimenti, che diventa come un rito purificatorio e uno strumento di conoscenza di sè per chi vi partecipa. La gioia che ho avuto, non solo nel fare la performance e provocare reazioni nella città e nel pubblico, ma anche per la felicità di chi ha partecipato, è stata davvero grande.

19/06/12

93. Stasi, riflessioni, ripensamenti, letture, famiglia

Stasi, dopo la marcia col piede sull'accelleratore per tutti questi mesi e forse anni, ho sentito come il bisogno di fare un vuoto, uno stop, un blank, e dell'ordine.
Anche dopo i fatti di Genova, poiché la fatica e la successiva delusione dell'annullamento ti lasciano un po' di dubbi e di bisogno di riflessione, o al minimo di ricentrarti e capire che motivazioni ti spingono a fare arte e a fare così tanti - eh sì, lo sono, - sacrifici. E a volte i dubbi e la stanchezza rodono, e affiorano, ed esigono di essere guardati.

In questo periodo mi sono occupata della mia famiglia e degli affetti, e soprattutto di sostenere mio padre in un impegnativo percorso di salute, con anche annessi ansia e preoccupazioni per la vicenda. E questo mi sta occupando tantissime energie, ma anche dando molta dolcezza.

E' anche palese, qui in Italia, più che altrove dove sono stata, che questo periodo di 'crisi' sta contagiando tutti, sia nel morale, che nelle possibilità, che nelle frustrazioni. E' un'energia bassa, piatta, spesso soffocante, in cui tutti più o meno, chi per un motivo o per l'altro, ci sono impastonati dentro. E queste energie si avvertono. E per una come me che ha le antenne ricettive e sensibili - spesso troppo e così tanto che assorbo umori e tensioni che mi circondano, anche mio malgrado - queste emozioni affiorano ancora più forte, e non si può non sentirle. Tanto più che, non so se per un fatto di incapacità o di costituzione, nella mia vita non riesco ad occuparmi di tante cose, a seguire tutti i giornali i fatti la politica o la vita pratica, ma sono per lo più volta a captare emozioni e pensieri, indagare intuizioni, percepire la vita, e poi cercare di tradurre tutto ciò col mio linguaggio. Ma non sono molto centrata e abile sulla vita pratica, tanto che tutti i problemi logistici e burocratici mi mettono un'ansia non indifferente (poi li risolvo, ma devo mettermi lì e scendere dalle nuvole, cosa che a volte non mi riesce proprio facile ... ).
Mi fermo. Forse è una frase che non si capisce. Certo, non riuscivo a dormire, tra il cibo pesante al ristorante indiano e la grande afa di questi giorni, che ho acceso il computer alle 5 di notte e mi sono messa a scrivere (e fare qualche giochino, confesso), per cui non è che connetto benissimo, sono come in un flusso di coscienza, lento, caldo, pure un po' strano.

Sto leggendo molto in questo periodo (forse sarò un po' ovvia, però sto divorando un bellissimo libro sulla vita e le opere di Marina Abramovic, scritto molto bene, che mi entusiasma e mi diverte nel vedere anche tante affinità col mio modo di essere e di lavorare, e entrare nella vita dei 'grandi' mi aiuta a rifocalizzarmi) e ho pure intrapreso un corso per artisti in videoconferenza da Chicago che aiuta a focalizzarsi e ricentrarsi. Sono un po' stanca di produrre. Devo riflettere.





14/06/12

92. La Notte dei Musei annullata, The Finger and the Moon #3 solo rinviato

Questo è il testo che ho diffuso alla mia mailing list e sul sito di Artribune per comunicare l'annullamento della Notte dei Musei e l'impossibilità di fare performance. Desidero convididerlo anche con voi. Di seguito il Comunicato stampa. E per sapere le emozioni, la storia, la preparazione, andate qui al il post precedente.

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The Finger and the Moon #3 di Liuba (NET) a cura di Alessandra Gagliano Candela è stato un lavoro organizzato da un anno e preparato in ogni dettaglio per culminare in una performance collettiva a Genova durante la notte dei musei di ieri sabato 19 maggio alla chiesa sconsacrata di S. Agostino, appartenente all’omonimo Museo.

Per l'occasione un lavoro sul territorio lungo mesi aveva radunato persone di diverse fedi religiose che si sarebbero unite all’artista Liuba in una performance artistica collettiva di meditazione di culture di tutto il mondo. Questo evento, che avremmo dedicato come atto collettivo e risposta pacifica alla violenza di Brindisi, è stato bloccato per la decisione del ministero di annullare la notte dei musei.

La performance sarà rimandata e la rifaremo ancora più grande e con ancor più partecipanti, e la dedicheremo alla tragedia di Brindisi e all'opposizione contro il terrorismo di tutti i tipi.
Ma annullare la Notte dei Musei ieri facendo tacere la cultura, non ci è sembrata la scelta adeguata.




THE FINGER AND THE MOON #3
performance collettiva

di Liuba (NET)
a cura di Alessandra Gagliano Candela

SABATO 19 MAGGIO h. 22.30
EX CHIESA DI S.AGOSTINO, GENOVA


COMUNICATO STAMPA


Il giorno 19 maggio 2012 alle ore 22.30 in occasione della “Notte dei Musei 2012” nella Chiesa sconsacrata di Sant’Agostino a Genova, parte del complesso museale omonimo, avrà luogo la performance di Liuba (Net) “The Finger and the Moon #3”. Terza tappa del progetto incominciato nel 2007 all’Opening della Biennale di Venezia e proseguito nel 2009 in Piazza San Pietro in Vaticano, curato da Luca Panaro con una trasmissione in streaming in gallerie in tutto il mondo,  la performance che avrà luogo a Genova, ne costituisce uno sviluppo importante ed originale.
“The Finger and the Moon” riflette, infatti,  sulla spiritualità nella nostra società, sull’affinità tra le diverse forme di preghiera, sulla libertà religiosa e il rispetto per ogni forma di religione, sulla limitatezza e la pericolosità del fanatismo e della chiusura al dialogo. A “The Finger and the Moon #3”, prenderanno parteesponenti delle più diverse confessioni religiose, che mediteranno insieme in una performance-rito collettivo.

 L’evento, curato da Alessandra Gagliano Candela, è stato preceduto da quasi un anno di lavoro di mappatura sul territorio, svolto dall’artista e dall’antropologa Barbara Caputo, che hanno stabilito un rapporto diretto con le diverse comunità religiose presenti, coinvolgendo direttamente gli abitanti della città  ad esse appartenenti .

La chiesa di S. Agostino, contenitore ricco di storia e di vissuto, si presta particolarmente alla realizzazione di questa performance-rito di grande impatto emotivo e concettuale: al suo interno una videoinstallazione presenterà i video delle due precedenti tappe, mentre le persone appartenenti alle varie confessioni procederanno ciascuna con la propria preghiera lungo la navata dell’antico edificio religioso.  L’artista Liuba indosserà per l’occasione un nuovo abito-opera, frutto della collaborazione tra lei e la stilista Elisabetta Bianchetti come nelle due precedenti tappe.
Integrano il progetto un sito web apposito ed un blog multireligioso e multiculturale che ne supportano il divenire (http://www.thefingerandthemoon.net/), servendo anche da piattaforma per un eventuale dialogo tra le comunità e i partecipanti al progetto. Alla performance faranno seguito una pubblicazione ed una mostra negli spazi del  Museo.


Liuba (NET) è il nome che Liuba ha scelto per mantenere la sua identità di artista, ma anche per evidenziare e ringraziare il network di persone che collaborano, supportano, assistono e contribuiscono ai suoi progetti, senza i quali il lavoro non sarebbe possibile.
 In particolare per THE FINGER AND THE MOON #3 : Adelmo Taddei, Direttore del Museo di S. Agostino, Gianna Caviglia, Comune di Genova,  Alessandra Gagliano Candela, curatrice del progetto, Barbara Caputo, antropologa, Elisabetta Bianchetti, stilista e produttrice dell’abito, Pat Veriepe, web developer , Chiara Parmiggiani, per il fundraising, Francesca Agrati, assistente dell’artista e Claude Caponetto, per le traduzioni.
 Un grande grazie ai donatori:P. Alessio Saccardo, per il suo generoso contributo che ha permesso di cominciare a realizzare tutto. DanieleCabri e Nadia Antoniazzi, Annalisa Cevenini, Cecilia Freschini, Francesca Agrati, per il loro sostegno non solo economico.

 PER PARTECIPARE ALLA PERFORMANCE e' NECESSARIO VENIRE ALLE PROVE GENERALI DI VENERDì 18 MAGGIO, ORE 18, DENTRO ALLA CHIESA DI S.AGOSTINO O, SE IMPOSSIBILITATI, TROVARSI NELLA CHIESA DI S.AGOSTINO ALLE ORE 20 PRECISE DEL 19 MAGGIO, GIORNO DELLA PERFORMANCE.

Notte dei Musei 2012 Museo  di Sant’Agostino, Piazza Sarzano, 35 R - 16128 Genova
Tel. 010 2511263 ; fax 010 2464516 http://www.museidigenova.it/

91. A Genova per preparare The Finger and the Moon #3 e... il blocco

Appena rientrata in Italia e dopo qualche giorno di catalessi (ma perché sono sempre spompata? Certo, direte, faccio molte cose, ma a volte neanche poi tanto, oppure sì??) e di dormite ininterrotte causa fuso orario e annessi e connessi, mi sono dovuta subito catapultare mente corpo e cuore a Genova per l'ultimo slancio realizzativo del progetto 'The Finger and the Moon #3".
Era più di un anno che l'avevo concepito e visto nella mia testa, e poi deciso come e dove realizzarlo.
E da allora ho lavorato per concretizzare e dare realtà a questa visione stampata nella mia testa.

Una delle cose più caratteristiche e speciali del fare arte è il fatto di far diventare reale qualcosa che è immaginario, è il miracolo di trasformare un pensiero, idea, emozione, in un qualcosa di tangibile, dare realtà, ossia realizzare. Questo è il creare. Dal niente all'oggetto - o al progetto - dall'invisibile al visibile, e per compiere questo tragitto lo sforzo è spesso immenso, a volte titanico (almeno per me lo è proprio). Chi non realizza non sa cosa vuol dire. Si possono avere mille idee, si può passare il proprio tempo a pensare e programmare, ma è solo realizzando che si tramuta la realtà e si crea. Ma quanta energia ci vuole! Di pensare sono bravi tutti, di avere belle idee sono bravi in molti, ma è il realizzare le proprie idee che fa la differenza, e pochi ci riescono.
v. il progetto

A dire il vero questa volta non è riuscito nemmeno a me. Ma ciò non è dipeso da noi.
Ce l'avevamo quasi fatta. Avevo lavorato con un team che comprendeva la curatrice, l'antropologa, il direttore del museo, la stilista, la webmaster, il traduttore, qualche donatore ... I fondi erano irrisori per l'entità del progetto e la fatica di fare tutto quasi a costo zero è stata immensa per tutti, specialmente per me e la curatrice che abbiamo dovuto fare le magie per coprire anche ruoli che non ci competevano, data l'impossibilità di pagare persone esterne, però siamo riusciti a portare a termine ciò che avevo ideato. E poi l'aiuto delle persone di Genova, che è stato affascinante e fondamentale.
Ho passato molti giorni in questa bella città (quanto è stata piovosa e umida però in questo periodo!), ospitata un po' dal gentilissimo amico servas Carlo, che ha aiutato e collaborato in maniera generosa ed essenziale, e un po' nella casa per artisti del Comune nella zona del Ghetto, vicino a via del Campo (una delle mie canzoni più amate di de Andrè!).

Insomma, alla fine ce l'avevamo quasi fatta. E avevamo coinvolto molte persone per fare la performance collettiva con me. Molte persone di diverse etnie e diverse religioni, come era la mia visione e il sogno che nutrivo nella mente. Il lavoro di contattare le persone, spiegare la performance e invogliarli a partecipare è stato uno dei più faticosi, ma anche il più affascinante. Un'arte che va in strada, nel territorio, fra le persone, che è vita, carne, contatto, ricerca, relazione ... Ecco cosa cercavo. E tutto ciò stava accadendo. Ho avuto contatti con persone musulmane, buddhiste, protestanti, evangeliche, ortodosse, ebree, sikh, baha'i, cattoliche, africane. Avevamo documentato questo lavoro sul territorio con foto e video, per la successiva mostra, grazie anche all'aiuto di due giovani artiste genovesi che sono venute in giro con me, Elena e Luisa.

Pochi giorni prima della performance si viene a sapere che il museo non solo non ha luci per illuminare la chiesa gotica, ma nemmeno l'impianto audio. Salti, giri, richieste, apparizioni e fortuna ci aiutarono a risolvere anche questo problema, e all'ultimo riuscì a sistemare lo spazio come lo desideravo, con la video proiezione, le due musiche, le luci soffuse nella navata ... è stato un duro lavoro di equipe, e tutto si stava risolvendo grazie all'aiuto di tutti ... Anche della mia assistente Francesca che venne apposta da Milano il giorno della performance per portarmi il vestito/opera, che aveva avuto qualche problema dallo stampatore ed era pronto - a Milano - solo il giorno precedente.

Ce l'avevamo fatta. Io ero esaurita, con otite curata ad antibiotici e cortisone, l'ultima settimana avanti e indietro fra Milano e Genova (anche per problemi familiari che mi preoccupavano assai), ore di telefono per coordinare tutte le persone e rispondere alle domande tecniche di chi partecipava, preparazione psichica e fisica alla performance, gestione della regia collettiva, ma l'energia stava salendo, il venerdì abbiamo fatto le prove generali nella chiesa sconsacrata (ma quanto è bella!) con alcuni dei partecipanti, e tutti eravamo emozionati. sarebbe stata una sinfonia di credo, meditazioni, azioni, interazioni, emozioni, immagini. Eccoci.
Ci siamo. Mancano poche ore. E' il 19 maggio, la Notte dei Musei, e il nostro progetto-evento-performance era parte del programma della notte dei Musei di Genova, alla chiesa del Museo S. Agostino. Ma succede un attentato a Brindisi. Violenza. L'Italia che è sconvolta. Una ragazza uccisa.
Io subito che penso - e Alessandra la curatrice ha pensato in contemporanea lo stesso - di dedicare il nostro lavoro, la nostra performance, la nostra meditazione collettiva  con persone di diverse fedi religiose, alla memoria di questa ragazza, all'opposizione alla violenza. Ancora di più tutti eravamo emozionati, e fare questa performance era un segno. Il nostro segno. Erano le nostre energie che desideravano fondersi, mostrarsi, anche levarsi contro, ma in pace, in positività, in arte.

E invece poche ore prima dell'inizio, nel pomeriggio, si diffonde la notizia ufficiale che il ministro ha bloccato la Notte dei Musei in tutta Italia. Ha fatto tacere la cultura. Ci ha tolto la voce. Ha vinto la logica della violenza. E vedere bloccato tutto è stato l'ennesimo controsenso che si esperimenta qui in Italia, dove già resistere è difficile, già continuare a lottare è duro, dove cercare di creare dei sogni è quasi utopia, e poi quando ci si è quasi riusciti, tutto si spegne per motivi quasi soprannaturali.
E' stata una ferita forte.
Forse non mi sono ancora ripresa.




The Finger and the Moon  #3 non sarà annullato, solo spostato. ma bisogna riorganizzare tutto e ricontattare tutti, e ritrovare il tempo, l'energia, il coordinamento e la voglia di dare corpo anima cuore settimane e mesi per realizzarlo di nuovo ... Abbiamo bisogno dell'aiuto e del sostegno di tutti voi.
(La performance si farà dopo la metà di settembre in data da definire, chi vuole avere info può lasciare un segno qui o mandare un email a info@liuba.net).

v. il comunicato stampa e l'email che annuncia l'annullamento



11/06/12

90. Rocambolando per l’Italia


Di solito,da anni e anni, quando finisco una performance ho una stanchezza tale e anche lo scarico della tensione e di tutta l’energia accumulata e usata, che dormo e larveggio per alcuni giorni, senza a volte riuscire ad alzarmi dal letto o a fare alcunché, e sono giorni in cui ti godi il non far nulla, in cui senti il corpo azzerato che sa come rimettersi in sesto, e da un lato ti senti beata e soddisfatta, dall’altra c’è sempre anche un po’ di tristezza e di interrogativo – del tipo: ma che senso ha tutto questo, tanto gran lavoro e poi cosa resta, ecc … - interrogativo che quando sei stanca come una larva può anche causare leggeri pianti depressi ma poi passa col rifiorire delle forze – bene, dicevo che di solito succede così, e il mio corpo va in catalessi per tre dì ...

Ma questa volta il giorno dopo della performance corrispondeva al giorno prima dell’aereo, e invece di poter restare a cazzeggiare tutto il giorno, dormire, vedere amici e vagare per New York o magari sdraiarsi a central park, ho dovuto sforzarmi quasi piangendo perché non avevo forza alcuna, per liberare la mia camera, fare le valige (compreso fare alcuni miracoli per fare stare tutte le cose), andare a fare un’ultima foto della moschea per il progetto delle religione che mi avevano detto essere verso 30th street o giù di lì, e uscire con un mio caro amico appena rientrato a New York dopo mesi che non c’era …
Troppo per lo stato larvale del post performance. E non scherzo. E’ il fisico a non esserci. Cambio faccia, divento pallida, non riesco a muovere gli arti ma li trascino, tendo a stare solo orizzontale, il pensiero è più lento di una lumaca, e di solito piango per un nonnulla, e il cuore batte a tremila per lo sforzo. So che sapete cosa intendo. Energie residue -100.

Non era una bella sensazione non dare al tuo corpo e alla tua mente ciò di cui ha bisogno, e tantomeno pensare di attraversare l’Oceano e di andare altrove, e di chiudere per ora con questa parte di mondo. Io non sono per niente brava con i distacchi. Sia con le persone che con i luoghi. E paradossalmente forse per questo viaggio e mi muovo molto, per poter ritornare da chi ho lasciato, in un vortice quasi perverso di pezzettini che ti si staccano dentro. E naturalmente infatti avevo voglia anche di rientrare in Italia, con altre persone care che mi aspettavano, e finalmente un cibo decente, e una camera un po’ più larga (qui a Manhattan vivevo stretta come in un sandwich), e il progetto a Genova che si avvicinava e che avrebbe catalizzato tutte le mie forze per il prossimo mese … ma no, lasciatemi riposare per almeno una settimana, poi riparto. E invece l’aereo è lì, come un laccio al collo, e poi non sarebbe possibile rimandare, perché ho le scadenze italiane … e nemmeno è possibile partire senza fare i bagagli e dividere cosa mi porto e cosa lascio (lascio sempre alcune cose a New York che non mi sto a portare avanti e indietro, e che mi fanno sentire ‘casa’ quando torno … ). Non è possibile prendere l’aereo senza le cose (e tra vestiti per tre stagioni, tecnologia, materiali, libri, beauty case ben equipaggiato e le tante paia di scarpe necessarie, il gioco non è di quelli essenzialmente leggeri …

Distrutta, amebica, post performance, piangente dalla spossatezza, mi trascino a fare tutto, e poi alla sera mi sveglio pure e passo la nottata fuori col mio amico Ish (e poi mi dico vabbè, è l’ultima nottata a New York e mi sforzavo anche se ero fuori del melone dalla stanchezza ... ).
Che dirvi, il giorno dopo metto la sveglia dopo poche ore, finisco di impacchettare tutto (devo anche correre a comprare un’altra valigia, e per far prima ci vado in bicicletta, compro un valigione enorme che persone gentili mi aiutano a fissare sulla bici e pedalo sino a casa con sta cassa di valigia in bilico sul manubrio … Insomma faccio tutto, prenoto taxi collettivo, faccio le ultime telefonate agli amici, e mi trovo al JFK dove per un motivo o per l’altro non mi riesco a rilassare nemmeno lì (tanto per cambiare qualche disfunzione imprevista dell’Alitalia, tipo caricarsi il valigione perché era l’unica compagnia aerea che non aveva il tapirulan per il check in. 

Prendo il volo. Adoro però l’aereo. Perché quando sei lì ciò che hai fatto hai fatto, un luogo diventa passato, e quello in cui vai è ancora futuro e non sta nella tua testa, quindi la testa è libera di volare, è leggera, è presente nel presente, è vigile, è paziente. E naturalmente quando arrivo a Milano, con le 6 ore perse nel fuso orario e una giornata in cui la notte non esiste e non hai dormito per due giorni, ecco che mi trascino da Malpensa verso Milano verso il taxi verso via Bramante verso il mio letto (anzi il divano letto della cucina) e mi incollo lì per due giorni e notti consecutivi, senza sapere nemmeno dove sono dove vivo e chi sono.


89. La performance al Grace Exhibition Space. Dietro le quinte e qualche foto


Avevo deciso di fare un lavoro sul cibo. 
Lo decido perché è la summa di un’esperienza pluriennale del mio stare qui a New York, oltre a un’esperienza pluriennale di interesse alla qualità del cibo, al mangiare bene e alla cura naturale. In più qui in America più che altrove, il cibo – come tutto – è oggetto di marketing sfrenato e tutto fa capo ai soldi. Ho vissuto e pensato e sperimentato tantissimo su questo argomento e fatto riflessioni composite per molti anni. In più questa volta, arrivando a New York a gennaio, ho cominciato subito a fare una serie di fotografie centrate sul rapporto col cibo. Per cui ora era proprio giunto il momento di parlare di questa cosa, e parlarne voleva dire usare il mio linguaggio, e fare un’azione di performance mista con foto e testi, dove ho messo tutto ciò che volevo dire, che sentivo, pensavo e comunicavo. (Credo che noi artisti creiamo cose perché non siamo capaci di esprimere con un linguaggio comune la sottigliezza delle cose che vorremmo esprimere, e allora ti devi trovare un linguaggio appropriato per comunicarlo).

Ovviamente avrei potuto fare al Grace Exhibition Space un lavoro già preparato e già sperimentato, dove non avrei avuto la vertigine dei tempi della creazione e dei tempi stretti della scadenza, ma sapevo che questo nuovo “Food Project” era ciò di cui avevo esigenza ORA di fare e che lo dovevo assolutamente fare in America, perché è stato incubato qui, e il linguaggio che voglio usare ha senso qui. E sempre un po’ sacrificandomi per l’arte e per esprimermi, mi sono messa in questa gara di preparare e inventare tutto per tempo (e poiché a New York le cose accadono, ma tutto è veloce, ho avuto la conferma della data solo un paio di settimane prima e non si sarebbe potuta rimandare più in là, perché dopo dovevo prendere un aereo …).

A volte invidio un po’ le persone che lavorano nel teatro. Loro producono degli spettacoli, impiegano le risorse per molto tempo, poi però per magari un anno, o comunque moltissime repliche, vanno in giro a portare quello stesso spettacolo già preparato. Almeno la fatica della preparazione ha i suoi benefici e viene diciamo, sfruttata … Invece per noi non è così. Nell’arte contemporanea, e nella performance, ogni evento è unico e irripetibile. Ogni performance è un qui ed ora, hinc et nunc, irripetibile. A volte ho impiegato anche anni a preparare dei progetti (v. per esempio la complessa performance ‘The finger and the Moon #2’) e poi la fai una volta sola. Poi impiego pure molti mesi per lavorare ai video. E basta. Fine. Il lavoro rimane. E’ esposto. Viene visto, ma non si ripete. A volte ciò mi frustra un po’. Eppure poi sono io per prima che lo scelgo: infatti quando mi invitano a ripetere le performances, io di solito non lo faccio. Al limite, se mi interessa, parto dal progetto ma lo modifico adeguandolo al territorio e allo spazio. Credo proprio che una delle differenze più sostanziali tra la performance art e il teatro sia proprio questa ‘unicità’ versus la ‘ripetibilità’, la presenza dell’esserci Vs la recitazione di qualcosa. Non dico una è meglio una è peggio. Sono solo sostanzialmente diverse (tanto è che nel passato mi offrirono più volte di ‘recitare’ a teatro, ma non ne sono minimamente capace né mi interessa, perché riesco solo a fare ‘me stessa’ ed esprimere ciò che sento in quel dato momento).

Cosa ho fatto per la performance a Brooklyn? Ho creato una videopresentazione con le – belle – foto fatte in questi mesi newyorkesi sul cibo, sul marketing, sui dollari e la fame. Poi ho scritto dei commenti poetici alle foto che ho messo in parallelo nel video e ho mandato il video, grande, a tutta parete, durante la performance, con la funzione di contrappunto e dialogo con l’azione live, in quanto ciò che facevo con le azioni era spesso in contrasto e contrapposizione con ciò che la gente vedeva nel video. E, sia giocosa che professionale, precisissima, ma ironica, mentre andavano le immagini e le riflessioni, ho cucinato live per 30 persone. I puri, perfetti, decantati e amati spaghetti col sugo fatti a regola d’arte (ovviamente, dato che sono italiana), di quelli da leccarsi i baffi e che in America non sanno cosa sia ma che adorano anche con i surrogati, e poi ho invitato il pubblico a condividere il cibo, a fare festa, a fare banchetto. Perché il cibo è anche incontro, e non solo sfruttamento, è socialità, e non solo biologia, è dono e non solo marketing. Ho voluto appositamente portare lì una parte importante della mia italianità, il rapporto col cibo e la socialità ad esso connessa. Avevo il bisogno di dichiarare la mia identità e la mi appartenenza. In modo evidente, ma non banale.
Ancora per una volta la mia performance era un dono, perché mi sono spremuta come un limone per un mese, ho dato ogni mia fibra (compreso lo stress della stanchezza) e come spesso accade non ho preso il becco di una lira, ma il senso del dono del cibo e del darsi e dell’offrirsi era anche uno dei sensi del lavoro.

(P.S. Per cucinare cotanta roba al Grace Exhibition Space ho letteralmente smontato la cucina dell’appartamento in cui vivevo nell’East Village, e devo essere grata a Fred, il mio padrone di casa, per avermi lasciato usare e trasportare attrezzi vari e pure la sua cucina a piastre elettriche ...
Inciso: – consiglio a tutti gli aspiranti performer e artisti di essere maschi o mascolini principalmente, o fare molto sollevamento pesi, perché così si riescono più facilmente a sgroppare tutti i materiali che occorrono perchè si fa una fatica boia (io sono robusta in molte cose ma la forza nelle braccia no, non ce l’ho proprio, e o stramazzo o devo chiedere aiuti vari a destra e a manca o a pagamento …) – fine dell’inciso.

Alcune foto

 






 'The Food Project. Performance 1"   © liuba 2012  - Grace Exhibition Space, Brooklyn, NYC

(Le immagini dell'ultima parte non le ho perchè sono nelle riprese video che non ho ancora scaricato...!).

88. Montreal/New York e performance ‘to do list’


Rientro a New York da Montreal con emozioni a palla: il distacco che sempre fa male, tanto più perché è stato un distacco di pochi giorni insieme, passati nella burrasca, e quando il mare è tornato liscio e trasparente era ora di partire. E partire voleva dire non solo andare a New York, ma poi dopo riattraversare un oceano e sei ore di fuso orario e tornare in Europa, in Italia, e sentire la frattura della nostra distanza moltiplicarsi.

Rientro a New York e una nuova performance imminente, con la dose di incognita, imprevisto, fatica e lavoro che mi aspettava. Già da parecchio la stavo preparando, ma gli ultimi giorni sono sempre i più densi  – quelli dove non ti puoi permettere deroghe, perché se c’è una cosa da scegliere e da preparare, la devi scegliere e preparare da un momento all’altro, e non puoi andartene a dormire o passeggiare, nemmeno se sei molto stanca (e la fatica sta proprio in questo costringere il cervello il cuore e la fantasia al lavoro anche se ti chiedono di riposare …).

Rientro a New York da Montreal e dopo poco rientro in Italia, non so più di dove sono e a chi appartengo. Un po’ ne ho voglia e un po’ no, un po’ non vedo l’ora di ritornare a una modalità di vita che mi appartiene e mi manca, così come non vedo l’ora di vedere le persone care, ma al tempo stesso non sono pronta ad andare via da qui, tutto è troppo veloce e ho bisogno di più tempo. O di vite parallele. E’ come se le vite scorressero parallele in più luoghi, e mi ci vuole tanto tempo per ciascuno.

Faccio le 12 ore di pullman per New York con queste emozioni contrastanti, intense, struggenti. Arrivo a Manhattan distrutta e senza nemmeno il tempo di riposare o di ascoltarmi. La “to do list” per la performance incombe e, chi realizza cose lo sa, mi ero fatta un calendario improrogabile per farci stare tutto ciò che dovevo fare e che occorreva ultimare (finire il video, decidere le immagini, comprare i materiali, trovare arnesi, rivedere i testi, scegliere vestiti, ecc … pazzesco come lavorare con la performance sia a volte lavorare a 360 gradi …) tra qui e l’ora della performance, e ogni deroga non era concessa.

Mille equilibrismi per fare tutto ... Mi sentivo come l'elefante di Union Square ...


Miquel Barcelò, Grand Elefandret


  (http://www.nuok.it/nuok/gran-elefandret-l-elefante-equilibrista-di-union-square/) 


87. Voglio scrivervi di così tante cose..e bus cinese


Voglio scrivervi di così tante cose, tante ne succedono – sia fuori che dentro di me – tra nuovi progetti creativi a cui sto lavorando, nuovi contatti e conoscenze, programmazione di performance future, gestione dei progetti che mi aspettano in Italia, e poi riflessioni, pensieri, aneddoti, cose che vedo, sento, percepisco e respiro … Mentalmente vi scrivo ogni giorno, con un sacco di cose da dire e condividendo ciò che mi frulla in testa, ma poi non rimane il tempo per scriverlo, e trovare il tempo per scriverlo è un impresa, con la valanga delle cose che si accavalla, i progetti che si intersecano, le energie per spostarsi, e i rapporti con le tante persone care (raddoppiati perché sono sintonizzata con le persone care in Italia e con quelle di qua) …
E’ buffo, ora sto scrivendo, un po’ mezza storta e al buio – ma sul computer non sul quadernetto – mentre sono sul bus cinese che mi porta a Washington a trovare Stefano (il Mengoz!) per il week-end! Sono su questo pullman scassato che parte da Chinatown New York e arriva a Chinatown Washington con partenza ogni ora e per il prezzo ridicolo di 20 dollari..
E’ stato un po’ strano entrare in questo pullman gremito e pure non trovare il pullman delle 6 ma dover aspettare quello delle 7, ma è interessante provare questa esperienza e poi ho voglia di vedere Stefano, credo che non ci vediamo da una decina d’anni ... a Bologna, al primo anno di Università (e per qualche anno) abitammo insieme e lui era un po’ come un fratello maggiore. Poi dopo l’università se n’è andato a Chicago con borse di studio per studiare e insegnare il liuto, e da allora vive negli Stati Uniti insegnando musica all’università … abbiamo deciso di incontrarci a Washigton che è un po’ a metà strada per entrambi, perché lui ha una conferenza ed è lì per alcuni giorni. Per cui ok, mi vedrò Washington,  a passerò il week-end col mio vecchio amico. Bene! Avevo un sacco da fare, a dire il vero, ma generalmente nella mia vita metto sempre al primo posto l’amore e i fattori umani, e mi sono sempre trovata bene!
… Così sto scrivendo tra una curva e l’altra del pullman cinese (perché prima che non scrivevo andava dritto come un fuso in autostrada e ora è tutto uno curva??) Ah, dulcis in fondo, ho Cesaria Evora nelle mie orecchie che da questo incantamento magico contribuisce a un mood meraviglioso e misterioso di questo piccolo viaggio nella notte americana sul bus cinese peno di gente di ogni razza (e odori vari).

i famosi 'cherries blossom' a washington

15/04/12

86. Settimane intense a New York ( e un salto a Montreal...)

Queste ultime settimane sono state veramente intense, come sempre e spesso accade a New York. Il ritmo di Manhattan è piuttosto vorticoso, e ti avvolge, però ciò che mi piace è che questa città è provocatoriamente contraddittoria, per cui si trova il ritmo vorticoso e anche la quiete più pacifica ...


Ho fatto veramente di tutto ... siete curiosi? Ecco una lista sommaria di queste ultime settimane ... !

- Messo l'annuncio su graig list per trovare il web designer che mi aiuta a sistemare il sito del progetto finger moon;

- Ricevuto una valanga di risposte in un paio di giorni, e mi ci sono voluti alcuni giorni completi per valutare i lavori e gli esempi delle persone che si offrivano, e selezionarli per un ‘colloquio’;

- Visto le persone selezionate e scelto la persona (una donna, tanto per cambiare … ) che mi è piaciuta di più, come professionalità, idee proposte e compatibile col budget limitato che avevo a disposizione (e questo grazie a un donatore prezioso che sta sostenendo ‘the finger and the moon’ project);

- Visto molte performances, sia al grace exhibition space, sia ad exib art;

- Visitato il New Museum (mostra the ungovernables: mi è piaciuta parecchio, molti lavori interessanti, a volte molto semplici, ma sotto una lieve nuova variazione di prospettiva. Molti lavori provenienti dai paesi ‘emergenti’, come Brasile, Sud America, India, nord Europa, paesi arabi …);



- Visitato la biennale del Whitney (pollice verso per quasi tutto). Sembrava di essere a una delle più banali mostre di fine anno scolastico, prove e pasticci vari, e nemmeno un articolazione espositiva efficace o interessante …- l’unico lavoro che ho goduto è il Circus di Calder, che non faceva parte della biennale, ma era nella sezione delle opere permanenti …(foto a lato);


- Sono andata a Washington per 2 giorni per rivedere il mio amico storico Mengoz che vive in America da 20 anni e che non vedevo da più di 10 (lui vive vicino a Detroit e fa lo storico di musica antica insegnando all’università). Abbiamo camminato a non finire e parlato e ruota llibera e a raffica delle nostre vite per tutto il giorno e mezzo che siamo stati insieme. A Washington ho anche fatto un’azione lenta in omaggio alla giornata della lentezza 2012 

- Ho tenuto costante contatto con la mia assitente Francesca in Italia, che sta facendo un preziosissimo lavoro di archiviazione cartelle, press e progetti, con la mia collaboratrice antropologa Barbara e la curatrice Alessandra  per lo sviluppo dell’imminente performance ed evento collettivo di Genova

- Ho lavorato a due progetti in progress, site specific su New York: uno è il nuovo progetto del cibo (sto soffrendo non poco con la qualità del cibo che mangio, pur stando quasi ossessivamente attenta a cosa compro o a dove mangio ... )‘the food project’ che per ora è incominciato con una serie fotografica estetica-denunciante-riflessiva che ho scattato andando in giro e frequentando la città.
- L’altro è progetto è 'the finger and the moon', in corso da parecchio, ma con un nuovo step: sto scattando fotografie alle miriadi di chiese/templi/sinagoghe che ci sono a New York, le più disparate immaginabili e con un mix di architettura, vita, spiritualità sommersa dall’urbanità, che è molto interessante. Questo corpus di immagini del  progetto mi servirà sia per la mostra che per la performance di 'finger and the moon #3' da farsi a Genova.

- Ho programmato con jill del Grace Exhibition Space la mia nuova performance sul cibo che farò in questa galleria, e abbiamo faticosamente fissato la data del 16 aprile (poiché io il 18 parto) per cui tutto piuttosto di fretta come al solito, ma qui a New York le cose sono così tante e rocambolesche che a volte si riducono con tempi molto stretti, però almeno qui le cose SUCCEDONO. ‘Make things done’ come dicono qua. Ed è vero. 


- Ho comprato, cambiandola due volte (ma per fortuna qui da H & B - o B & H? non ricordo mai … - compri una cosa, la provi e poi la cambi o la rendi se non ti piace), una nuova macchina fotografica con video HD da bomba e super leggera, che è stato il mio indispensabile strumento per le mie foto site specific. Ma che fatica per me comprare la tecnologia, quando ci sono mille proposte, mille differenze, e mille prezzi dalla a alla z … Ho comprato anche una videocamera HD molto buona con un prezzo interessante, ma non l’ho ancora provata bene (e ho sempre tempo per restituirla) … ma ci ho impiegato un mese a vedere modelli e decidere (e non essendo io una tecnica esperta, ma essendo molto esigente e non ricchissima, mi agito tantissimo … ).

- Ho avuto un'otite fortissima con male alle tempie, che mi ha costretto ad andare al pronto soccorso (poiché non sapevo dove andare) e a farmi toccare con mano il servizio sanitario di qua (quando vi racconterò ... ) che fortunatamente con una doppia dose di antibiotici è guarita (spero sia sparita del tutto), ma ho avuto il mio bel da fare a giostrare con la logistica della città, le cose che sto facendo e la forte stanchezza causata da questa cosa …

- Ho passato il giorno di Pasqua con Mario, la mia migliore amica americana Nora e il suo fidanzato, a mangiare i famosi pancakes con mirtilli di Nora e finalmente a sentirmi in famiglia e con le persone a cui voglio più bene

- Ho comprato delle scarpe-sandali estivi di cui sono contentissima, un giubbino di jeans e un vestito optical, con rapporto qualità prezzo eccellente (non mi piace molto fare shopping, però devo dire che ho un occhio fino, e quando non cerco riesco sempre a trovare la cosa di qualità col prezzo giusto, o spesso con un super affare!).

- Ho tagliato i capelli dalla mia parrucchiera brasiliana che l’anno scorso mi è piaciuta tanto, ma questa volta non sono stata molto soddisfatta, e poi mi sono tagliuzzata i capelli da sola per personalizzarmi il taglio (non li volevo corti, ma nemmeno così lunghi come erano, li voglio di differenti lunghezze … ) … forse devo pure ritornarci, perché anche con questi ultimi ritocchi non è che sia proprio un granché (però meglio di quando erano lunghi e dritti come prima, che non si addicono al mio viso e al mio carattere).

- Ho preso il bus per Montreal (sono arrivata ieri sera) perché, dovendo preparare la nuova performance del 16 aprile (per la quale sto creando un video da proiettare live)  ho bisogno di stare al computer tutto il giorno, per cui ho pensato è meglio farlo a Montreal condividendo almeno la sera con Mario – che poi partirò per l’Italia e non si sa quando ci rivedremo – che non stare a Manhattan chiusa in casa nella piccola stanzetta (però anche Mario qui si è preso una casa che è microscopica e buia … ).

Beh, ciò che mi piace di New York è che si riescono a fare cose come in un anno altrove, anche se tutto però è molto faticoso, e questa volta ho sentito molto alcuni difetti e alcune cose difficili di questa città, e, a dirla tutta, Manhattan a volte mi sembra quasi in ‘decadenza’, turistica, superata (ho questa impressione netta, e la sto sentendo da alcune altre persone, sia che vivono qui o che ci vivevano. Qualche fermento nuovo c’è in Brooklyn, ma credo che i tempi d’oro della grande mela forse siano acqua passata (o no?).

Ah, e poi ho scritto un sacco di blog … !! Guardare post passati per credere ;-)  

(E un po' stanchina lo sono ... ).

28/03/12

85. Manca solo una settimana ... e foto templi ...

Come molti di voi già sanno, sto lavorando da più di un anno al nuovo step del progetto 'The Finger and the Moon' (che sarà il #3), e si terrà a Genova il 19 maggio di quest'anno (non vi preoccupate, rientro in Italia per tempo, anzi un mese prima e mi piazzerò a Genova per mettere a punto tutto il lavoro di preparazione e di coinvolgimento delle persone ... Intanto però qui a new York ho trovato ispirazione per fantastici preparativi anche per questo progetto!).

E' un ampio progetto che comporta un lavoro di equipe, e che coinvolgerà moltissime persone in una performance collettiva.


Manca solo UNA SETTIMANA per sostenere, tramite l'apposito sito online, questo imminente progetto di performance collettiva  programmato per maggio a Genova.  Il piccolo contributo di tutti voi è fondamentale perché l'operazione riesca!!   
E ciascuno di voi può partecipare alla performance, se lo desidera!


PER PARTECIPARE E /O SOSTENERE 'THE FINGER AND THE MOON #3:

Clicca qui ENTRO il 3 APRILE 2012!

 http://www.indiegogo.com/The-finger-and-the-moon?c=home




Nel frattempo, come regalo in anteprima (ah, se accedete al sito e fate una anche pur piccola donazione, riceverete in cambio dei lavori firmati del progetto ... E spero con tutto il cuore che ne rimarriate contenti!)
come regalo in anteprima, dicevo, vi metto alcune foto della serie sui templi/chiese che sto facendo qui a New York.
Enjoy! (come dicono qua per quasi tutto, e a me piace molto questa espressione).


   







  
Liuba - The Finger and the Moon #4 - new photo series (all right reserved)




27/03/12

84. La giornata della lentezza 2012 a Washington

Quando ero a Washington cadeva la giornata della Lentezza 2012, organizzata dagli amici italiani di 'Vivere con Lentezza'. Sia loro che io da anni lavoriamo sulla lentezza ed è stato naturale che ci siamo incontrati e conosciuti e abbiamo fatto sinergie insieme. Il nostro incontro è avvenuto l'anno scorso a New York, quando Bruno Contigiani mi contattò chiedendomi di partecipare alla giornata mondiale della lentezza col mio 'Slowly Project' e abbiamo lavorato insieme a New York (per vedere info sul mio SLowly Project guarda qui).
Quest'anno la giornata si è celebrata il 26 marzo e ho accolto l'invito sempre di Bruno a preparare un evento 'slowly' da inserire nella rosa di iniziative concomitanti per quella giornata. E quindi feci un'azione lenta davanti alla Casa Bianca, lentissima, così lenta che non sono riuscita nemmeno ad entrare bene nella foto ...








83. Nuove foto dello zio Elio


Archiviando alcune nuove foto dei mei work in progress newyorkesi, ho trovato in una cartella queste bellissime foto dello zio che riceveva l'Ambrogino d'oro a Milano, fatte da Mario, e non ho resistito dalla voglia di condividerle con voi, con affetto immenso per lo zietto. La cerimonia è stata qualche anno fa, e se pur vi dovete sorbire l'allora Assessore alla Cultura, vi addolcisco con una chicca: una delle rare foto private della mia famiglia (quella che vedete accanto a mio zio è mia mamma, sua sorella, dietro fa capolino mio padre, e a sinistra ridendo c'è la zia ...).








Elio Pagliarani riceve l'Ambrogino d'oro a Milano (foto: Mario Duchesneau)




82. Occhi e vuoto in Flushing, Queens

Come vi dicevo nel post precedente, alcuni giorni fa sono andata a Flushing, capolinea della linea 7 nel Queens.
Mi avevano detto che in quella zona c'era un'area piena di templi di ogni religione, uno accanto all'altro. Poiché ciò mi interessa molto, per il progetto delle religoni che sto sviluppando, e per la serie fotografica a cui sto lavorando qui a New York sulle varie - e strane - e numerosissime chiese, e templi, e luoghi di culto di ogni ordine e grado, ho preso la mia metro e sono andata in fondo al Queens a Flushing.
Devo premettervi però, per darvi l'idea dei miei 'feeling', che nei giorni precedenti era piena primavera, con sole tipo maggio e un'esplosione di fiori.



(Beh, vi metto la foto, finalmente mi sono comprata una buona macchina fotografica da tasca e giro facendo le foto ... ), mentre quel giorno, poco dopo essere uscita, mi ero accorta che era inaspettatamente freddo ed ero vestita inadeguata (- ma non avevo voglia di tornare indietro a cambiarmi). Inoltre, il cielo era cupo e grigio e umido, come i giorni di autunno a Milano ...

Con questo sfasamento metereologico nelle ossa e un po' infreddolita, scendo dalla metro 7 accompagnata da un fiume di gente e mi trovo in mezzo a una super brulicante altra Chinatown dove faccio straordinarie foto di cibo ammassato sulle strade e cheap chino take away food (mamma mia ... ), che vanno bene per il mio progetto sul cibo, ma mi mettono un po' di depressione (queste foto sono un progetto artistico inedito, e non ve le metto qui ... :-)
Rimango attonita al vedere un formicolio di gente, di cose, di volti, di tutte le razze ma tutti grondanti povertà e fatica. Vado un po' di qua e di là, ma non c'è traccia dei templi, o almeno io non trovo nulla. Chiedo alle persone, ma non trovo quasi nessuno che parla inglese (?!), quei pochi che lo parlano mi guardano diffidenti quasi mandandomi a quel paese con gli occhi.

Gli occhi.  Ho girato e rigirato per quelle strade infreddolita alla ricerca dei templi, e vedevo occhi spenti, occhi zombi, occhi vuoti, occhi arrabbiati, occhi depressi, occhi rassegnati ...
Percepivo e sentivo sulla mia pelle la fatica di vivere, l'abbruttimento della miseria, la diffidenza di chi 'resiste' e non pensa ... Questi corpi, questi occhi, queste energie mi erano entrate dentro la pancia e vagavo per le strade di Flushing assorbendo tutte queste vibrazioni e sentendomi anch'io contagiata, arrivando a sentirmi piccola, fragile, brutta, sola, inutile ... Non ho mai visto una concentrazione così fitta di persone abbruttite dalla vita.

Non ho visto qui la miseria nera che si può trovare in altre zone del mondo, ma la noia la cattiveria la diffidenza e l'abulia di chi fa una vita dura, di chi fa una vita piena di fatica e poca gioia, di chi è abituato a stare nel ghetto (nei margini lottando per non sprofondare) e diventa di pietra per sopportarlo ... Sento ancora quelle sensazioni addosso, e vedo ancora quegli occhi vuoti senza pupille spenti dalla vita.
Sono stata malissimo. Purtroppo o per fortuna ho delle antenne sensibilissime, ultra sensibili, per captare le energie e le cose che non si vedono - ma che ci sono. Questa sensibilità mi aiuta a penetrare i livelli di profondità dell'esistenza, a percepire istintivamente le persone, a capire e sapere le potenzialità e le energie dei luoghi, ad avere un intuito sottilissimo ... però fa sì che spesso io sia contagiata da queste onde sottili e mi accorgo a volte di assimilarle, senza potermi difendere, come se un grande vento mi arruffasse i capelli e non ci puoi fare niente ( i capelli tornano a posto solo squando vai via dal flusso del vento ... ).
Spesso mi accorgo che gli altri non lo vedono questo 'vento', ma io lo percepisco spesso, lo sento, e a volte non riesco a difendermi se non andando via. Ciò mi capita ovunque: a Milano per esempio, quando percepisco le ondate di stress della città che mi si sbattono in faccia impedendomi a volte di pensare anche se sto tutto il giorno in casa, o quando devo spostare un letto per riuscire a dormire ... sono una dormigliona e non ho mai problemi a dormire, ma a volte mi capita di dormire in letti - e sapete che viaggio parecchio ... - in cui non prendo sonno e rimango con gli occhi sbarrati sentendo energie che mi impediscono di dormire ... poi ho imparato che risolvo la faccenda spostando in qualche modo il letto o spostando la direzione in cui dormo, e subito mi addormento.
 Allora, l'altro giorno nel Queens è stato doloroso e drammatico, ho vagato anch'io come una zombie - e non ho trovato la zona dei 'templi', solo qualche chiesa o sinagoga o tempio sparso qua e là, come ovunque a New York. Sono tornata a Manhattan e ho vagato tutta la sera come una zombi anch'io, senza meta e senza senso (ricordo di essere andata verso Wall Street per un supposto concerto a Trinity Church alle 7 che non c'era, poi ho preso il treno per Brooklyn, ho preso un caffè e sono tornata indietro, ecc... ecc ... ).

Questo è il risultato della giornata a Flushing...vi pubblico questa foto in anteprima. All right reserved.

New York è 20 città al tempo stesso, ci sono zone giganti, zone ricchissime, zone solo di lavoro, zone di business, zone di vita di strada, zone di divertimenti,  zone di certe categorie di negozi, zone sporche, zone verdi, zone rumorose, zone tipo paese, zone ultratecnologiche, zone afroamericane, zone russe, zone cinesi, zone coreane, zone ebraiche, zone ispaniche, zone indiane, zone commerciali, zone residenziali, zone di gallerie, zone di teatri, zone di barche, zone di disperazione, zone di gioventù, zone di milionari, zone di reazionari, zone di vacanza, zone di fatica, zone di depressione, zone di euforia ... e ovunque tanta gente, tanta umanità, miriade di storie, talenti, sentimenti, capacità, idee, consumi. Numeri immensi, così come spazi immensi, giganti, e movimenti e flussi senza fine. La vita scoppia gira esplode giganteggia soffre esulta ama cade e sussurra in questa metropoli che è il mondo, e che non si ferma mai.


(Testo scritto sempre sul bus cinese, di notte, sul mio quadernino, mentre tornavo da Washington). Rivedere Stefano è stato molto bello e intenso, anche se tra parlare girare viaggio e tutto è stato parecchio stancante, e mi ha incuriosito pure Washington, così monumentale, così pulita e ordinata, lontano anni luce da New York ... Sono stata solo due giorni a Washington, ma il suo carattere l'ho percepito bene, è monumentale, pulita, ordinata, borghese, noiosa, precisa, un filo deprimente e parecchio magniloquente ... (Mi sembra in parte di essere a Milano, per alcuni aspetti sono analoghe, e ho pensato che non vivrei mai a Washington ... ).




25/03/12

81. Coney Island, Queens e performances a Brooklyn

Ecco finalmente vi scrivo, sono nel mio angolino magico, che mi sono conquistata (ossia ho procrastinato varie cose e mi sono fatta più di un’ora di metro – anzi un’ora e mezza perché c’era un guasto) e sono venuta qui per ricaricarmi, e anche scrivere. Scrivo sul quadernino, poi lo dovrò copiare, che poi ho anche il computer dietro nello zainetto, ma non è il caso di usarlo sulla spiaggia … sì sono davanti al mare, seduta sullo scoglio col sole davanti: oggi è una giornata stupenda, so che il week-end sarà più bruttino e piovoso (dovrò andare a Washington, ma non è un problema, ci vado per vedere il caro Mengoz dopo tanti anni!! – Prima coabitazione di casa a Bologna, primo anno di Università …) e quindi ho seguito il mio corpo, il mio istinto e la mia necessità e sono venuta a Coney Island. Amo questo posto, prendi la metropolitana da Manhattan e ti fai tutta Brooklyn, ma poi il treno ti lascia a pochi metri dall’Oceano (certo che dire questa parola fa effetto, ma è proprio così che si chiama … ).
Sono arrivata qui per pensare, respirare, sentire il mio corpo, trovare un silenzio decidere, prendere lentezza.(una cosa molto stancante di New York è che è rumorosissima, anche se a volte tutti quei rumori sono gioiosi, perché è una vita che scoppia ovunque in questa città mai ferma).

Ieri sono stata nel Queens, al capolinea della linea 7, a cercare la zona dei templi multi religiosa per il progetto fotografico-performativo sulle religioni (+ tante foto per il nuovo progetto sul cibo che sto facendo) ed è stata una giornata molto dura.
Vi racconterò in un post a parte prossimamente, della miriade di persone, della disperazione che ho visto, degli occhi vuoti delle persone, della fatica di vivere che ho sentito e percepito sin dentro le midolla e di come io ne sia stata penetrata e mi sia sentita uno straccio, e di come NY siano almeno 20 città diverse, e di come la moltitudine di volti, persone, numeri sia impressionante ovunque, e di come ci sia gioia e disperazione e disponibilità e diffidenza in uno scambio senza sosta e imprevedibile …

Ma oggi invece vi racconto di Coney Island. E’ un posto che amo (forse l’ho già detto, ma fa niente, lo ripeto!) Primo: c’è il mare e c’è la spiaggia. A New York fortunatamente c’è il mare da tutte le parti, ma le spiagge sono rare, oppure lontane. Secondo: c’è la spiaggia, ed è puntata verso sud (credo), ossia vado là per prendermi il sole in faccia guardando il mare, e da trequarti riminese quale sono, per me prendere il sole nelle ossa su sabbia e/o scoglio, è un cibo primario ed ineludibile. Terzo: è un posto assurdo di contraddizioni mass popolari, col nuovo e il decandente, la desolazione, il lavoro, l’ilarità e la multiculturalità della vita americana più provinciale e suburbana ma al tempo stesso metropolitana.



Quando sono arrivata, invece del sole sfavillante che c’era a Manhattan c’era una nebbia quasi felliniana: tutto bianco, ovattato, annebbiato, ma non freddo. Il mare non c’era. Nebbia bianca ovunque, e la sirena (si sente anche a Rimini quando c’è la nebbia) che suonava ritmata. La nota felliniana era che in mezzo a tutta sta nebbia bianca e fumosa, c’era gente ovunque, anche in costume da bagno, sdraiata sulla sabbia o che giocava a pallone come se niente fosse (per me era freddino senza il sole … siamo a marzo d’altronde, anche se col sole c’erano 28 gradi!, ma senza molto meno … )
Quindi, uscita dalla metro e vedendo sta grande nebbia,mi sono detta: ok, non posso prendere il sole e scrivere sulla spiaggia, quindi farò come fanno gli americani: vado a mangiare i famosi hot dog da natan’s (da specificare che io di solito non mangio il maiale), e anzi, per la prima volta da quando sono qua, mi prendo il full meal con tutte le schifezze, voglio proprio provare a vedere come si sta: patate strafritte, hot dog con panino dolce, coca gigante (sì anche quella) e tutto nelle scatole, come fanno qui, to ‘take away’.






Mi sentivo ridicola, con zainetto che cadeva, le scatole del cibo in mano e faticosamente tenendo la big coca cola, nell’atto di spiacciccare le salse varie nel pacchetto e incamminarmi goffamente verso la panchina davanti alla spiaggia a mangiarmi il mio cartoccio. D'altronde qui sto cominciando un progetto sul cibo (non ve ne ho ancora  parlato perché è nuovo nuovo e perché è sul nascere, ma anche perché non voglio svelare molto … ) e tra le tante contraddizioni l’uso del cibo spazzatura è un'abitudine che permea l’America nelle midolla…
Capisco anche perché è nata la Coca Cola e perché qui per abitudine si mangia con la coca cola: perché è uno sturalavandini! Mangiando tutti quei grassi e zuccheri e cibo artefatto e soffritto ci vuole una trivella digestiva che ti faccia buttare giù il cibo … Devo dirvi però che, dopo due ore che avevo mangiato, coca o non coca, il cibo era ancora nella parte più alta dello stomaco, gnucco gnucco.
Parentesi cibaria a parte, poi il sole è ritornato, mi sono messa a scrivere e pensare e mi sono ricaricata , per poi continuare una giornata intensissima, sono tornata a Manhattan mi sono messa a lavorare un paio d’ore al computer da starbucks e poi sono andata a Brooklyn al Grace Exhibition Space, a vedere tre performances, e a parlare con la gallerista Jill riguardo alla nuova performance che probabilmente farò da loro (voglio sviluppare un ‘duetto’ insieme con Harry, lo scrittore, che scrive testi meravigliosi basandosi sui miei video e i miei progetti ... ).

Parlare con Jill è stata una gioia, perché, nonostante siamo cresciute in parti del mondo molto distanti, abbiamo avuto un background simile ed entrambe portiamo avanti la performance art come il massimo sviluppo delle nostre potenzialità artistiche, e abbiamo entrambe vissuto i periodi – non molto tempo fa – quando la performance la conoscevano in pochi ed era fuori dai venue artistici principali. Sì anche a New York, non solo in Italia. Ora siamo entrambe contente che da qualche anno la scena artistica internazionale ha riscoperto la performance art e le sta dedicando l’attenzione che merita. E’ come se si stesse assistendo a una rinascita di questa forma d’arte, e ne siamo tutti naturalmente felici. Tanti sono stati gli anni quando a chi ti chiedeva cosa facevi e rispondevi ‘performance’ vedevi la loro faccia inebetirsi e chiedere cos’era o se assomigliava alla danza o a cosa … oppure i galleristi che dicevano: interessante, ma cosa vendo? - Beh, anche oggi non è che la performance navighi nell’oro, ma ogni serio movimento artistico del passato non è mai nato pensando a cosa vendere, semmai al contrario cercando di demolire il sistema del commercio e del mercato dell’arte, o quanto meno criticandolo.

Sono rientrata a casa riprendendo il treno fino a Manhattan, e poi la bici alla fermata Delancey … molto stanca ma molto contenta (a Coney Island ho anche girato delle riprese molto emozionanti e petiche che un giorno mi serviranno per un nuovo lavoro video, che è già bello lì pronto nella testa e nel cuore! (La mi testa frulla sempre e pullula di idee e di possibilità, però realizzare tutto è molto complicato, e molto lento, ma io vado avanti a poco a poco, a volte lenta, a volte correndo, ma sempre, dico sempre, cerco di realizzare tutte le idee che vedo nella mia testa (anche perché una volta che appaiono non vanno più via, e ternerle tutte e accumularle lì fa male … per quello che cerco, per quanto possibile, di fare prima o poi tutto ciò che penso o desidero realizzare ... ).

(Il lunapark di Coney Island - forse il più vecchio al mondo - riapre i battenti ... ).




13/03/12

80. Tibet Libero e Val di Susa ...

Stavo passando per Union Square, anzi ero seduta sui gradini per un pic-nic estivo sotto il sole, bellissimo di questi giorni, quando ho visto radunarsi un gruppo di donne tibetane, che andava sempre aumentando, poi sono arrivati gli striscioni, poi la protesta vera e propria è iniziata, e anche toccante: Al grido "China lies, Tibetans die", free Tibet, centiania di Tibetani hanno dimostrato per sensibilizzare il mondo sul problema immenso dell'invasione della Cina in Tibet e sui maltrattamenti e la mancanza di libertà e di religione che il regime cinese gli ha imposto. Ho parlato con qualche donna, erano davvero arrabbiate, la protesta è cresciuta e si è trasformata quasi in una performance, ben preparata, con molte persone a gridare slogan di libertà per il Tibet. Ero seduta a mangiare quando il mondo è piombato sopra i mei piedi (letteralmente, io ero seduta sui gradini che vedete nella prima foto, a mangiare la mia insalata, e miriadi di donne con cartelli, e poi monaci e molti altri, sono arrivati e si sono sistemati intorno a me per la protesta).
Mi sembra importante riportarlo sul mio blog, perché la causa del Tibet mi sta molto a cuore, come mi sta a cuore ogni persona e ogni paese che lotta per i propri diritti.

Free Tibet protest held in New York

Members of the Tibetan community living in the United States and also people from other countries around the world joined in a demonstration held in Union Square against China where they demanded a 'Free Tibet'.





Per associazione, o per simpatia, pubblico anche questo testo che riguarda la protesta in Val di Susa, che mi è stato inoltrato in una e-mail. Nè del Tibet nè della Val di Susa ho informazioni dirette, viste coi miei occhi, nè sono stra informata, però ho deciso di pubblicare questo testo perché  mi sembra molto ben documentato e la testimonianza di chi in Val di Susa ci è stato davvero. Merita di leggerlo sino in fondo


Siamo stati in Val di Susa ed abbiamo capito

Siamo stati in Val di Susa ospiti degli abitanti della valle:
insegnanti, agricoltori,
pensionati, studenti e abbiamo visto:
Un luogo attraversato da due
strade statali, un'autostrada, un
traforo, una ferrovia, impianti da
sci, pesanti attività estrattive
lungo il fiume
Persone che continuano
a curare questo territorio già affaticato da
infrastrutture ed attività
commerciali e cercano di recuperare un
rapporto equilibrato con
l¹ambiente e la propria storia.
Una comunità che crede nella
convivialità e nella coesione sociale e
coltiva forti rapporti
intergenerazionali.

Abbiamo capito che in Val di Susa non è in gioco
la realizzazione
della ferrovia Torino-Lione, bensì un intero modello
sociale. Un
popolo unito e coeso, una comunità forte non può essere
assoggettata a
nessun interesse nè politico, nè economico. E¹ interesse
di tutti i
poteri forti dividere, isolare, smembrare per poter meglio
controllare
e favorire interessi particolari.

Abbiamo capito perché
tutto l¹arco costituzionale vuole la TAV, non è
dificile, basta
guardare alle imprese coinvolte:

Cmc (Cooperativa Muratori e
Cementist) cooperativa rossa, quinta
impresa di costruzioni italiana,
al 96esimo posto nella classifica dei
principali 225 «contractor»
internazionali che vanta un
ex-amministratore illustre, Pier Luigi
Bersani, si è aggiudicata
l¹incarico (affidato senza gara) di guidare
un consorzio di imprese
(Strabag AG, Cogeis SpA, Bentini SpA e Geotecna
SpA) per la
realizzazione del cunicolo esplorativo a Maddalena di
Chiomonte.
Valore dell¹appalto 96 milioni di Euro.

Rocksoil s.p.a
società di geoingegneria fondata e guidata da Giuseppe
Lunardi il quale
ha ceduto le sue azioni ai suoi familiari nel momento
di assumere
l¹incarico di ministro delle Infrastrutture e dei
trasporti del governo
Berlusconi dal 2001 al 2006. Nel 2002, la
Rocksoil ha ricevuto un
incarico di consulenza dalla società francese
Eiffage, che a sua volta
era stata incaricata da Rete Ferroviaria
Italiana (di proprietà dello
stato) di progettare il tunnel di 54 Km
della Torino-Lione che da solo
assorbirà 13 miliardi di Euro. Il
ministro si è difeso dall¹accusa di
conflitto di interessi dicendo che
la sua società lavorava solo
all¹estero.

Impregilo è la principale impresa di costruzioni italiana.
È il
general contractor del progetto Torino-Lione e del ponte sullo
stretto
di Messina. Appartiene a:
33% Argofin: Gruppo Gavio. Marcello
Gavio è stato latitante negli anni
92-93 in quanto ricercato per reati
di corruzione legati alla
costruzione dell¹Autostrada Milano-Genova.
Prosciolto successivamente
per prescrizione del reato.
33% Autostrade:
Gruppo Benetton. Uno dei principali gruppi
imprenditoriali italiani
noto all¹estero per lo sfruttamento dei
lavoratori delle sue fabbriche
di tessile in Asia e per aver sottratto
quasi un milione di ettari di
terra alle comunità Mapuche in Argentina
e Cile
33% Immobiliare
Lombarda: Gruppo Ligresti. Salvatore Ligresti è stato
condannato
nell¹ambito dell¹inchiesta di Tangentopoli pattuendo una
condanna a 4
anni e due mesi dopo la quale è tornato tranquillamente
alla sua
attività di costruttore.

Abbiamo capito che l¹unico argomento rimasto
in mano ai
politico-imprenditori ed ai loro mezzi di comunicazione per
giustificare un inutile progetto da 20 miliardi di euro mentre
contemporaneamente si taglia su tutta la spesa sociale è la
diffamazione. Far passare gli abitanti della Val di Susa come violenti
terroristi. Mentre noi abbiamo visto nonni che preparavano le torte,
appassionati insegnanti al lavoro, agricoltori responsabili,
amministratori incorruttibili.

Abbiamo capito che questo è l¹unico
argomento possibile perchè ormai
numerosi ed autorevoli studi, di cui
nessuno parla, hanno già
dimostrato quanto la TAV sia economicamente
inutile e gravemente
dannosa.

Questi i principali:


Interventi
scientifici e studi relativi all'Alta Velocità Torino-Lione
dei
ricercatori del Politecnico di Torino:
http://areeweb.polito
.
it/eventi/TAVSalute/

Analisi degli studi condotti da LTF in merito al
progetto
Lione-Torino, eseguiti da COWI, rinomato studio di consulenza
che
lavora stabilmente per le istituzioni europee:
http://ec.europa
.
eu/ten/transport/priority_projects/doc/2006-04-
25/2006_ltf_final_report_it.pdf

Contributo del Professore Angelo
Tartaglia, del Politecnico di Torino:
http:/www.notav.
eu/modules/Zina/Documenti/2010_11-Angelo%20Tartaglia%20confuta%20teorie%
20S%EC%20TAV%20On.%20Stefano%20Esposito.pdf

Analisi economica del
Prof. Marco Ponti del Politecnico di Milano
http://www.lavoce
.
info/articoli/pagina1002454.html

Rapporto sui fenomeni di illegalità e
sulla penetrazione mafiosa nel
ciclo del contratto pubblico del
Consiglio Nazionale dell'Economia e
del Lavoro:
http://www.notav
.
eu/modules/Zina/Documenti/2008_Rapporto%20sugli%20appalti.pdf

Risultanze del controllo sulla gestione dei debiti accollati al

bilancio dello Stato contratti da FF.SS., RFI, TAV e ISPA per
infrastrutture ferroviarie e per la realizzazione del sistema ³Alta
velocità²:
http://www.notav-avigliana
.
it/doc/delibera_25_2008_g_relazione.pdf

Presentazione dell'Ingegnere
Zilioli, in relazione a ³EFFETTI TAV -
STUDI EUROPEI/buone pratiche e
cattivi esempi²
http:/www.comune.re.it/retecivica/urp/retecivi.
nsf/PESIdDoc/CE2F74FF4EBDC0A7C125783000474080/$file/Presentazione%
20Ing.%20Zilioli.pdf

Ricerca del Politecnico di Milano sull¹alta
velocità in Italia che
svela un buco di milioni di utenti.
http://www
.
tema.unina.it/index.php/tema/article/view/486